C’è un fenomeno che sta caratterizzando i mercati da diversi anni a questa parte, ma che potrebbe presto evaporare. Si tratta della sovraperformance dell’azionario americano rispetto a quello del resto del mondo.
I risultati super dell’azionario americano
La conseguenza di questo trend è che molti operatori di mercato, soprattutto quelli al dettaglio, hanno preferito evitare la diversificazione dei loro portafogli su scala globale.
Tendenza in affievolimento
Come detto all’inizio però, questa tendenza potrebbe avviarsi alla conclusione. O quanto meno è giunta ad un punto di svolta. I dati a partire da novembre scorso infatti evidenziano un appiattimento dell’azionario americano e quello non-USA. Ciò è accaduto di pari passo con la diffusione dei vaccini anti-Covid, e di conseguenza con il crescere l’ottimismo per la ripresa economica. Chi conosce il significato di volatilità tra diversi indici, ha visto ridurla notevolmente.
Legame con titoli growth e non ciclici
La fine della lunga fase di eccezionalismo dell’azionario USA dove ci condurrà? Per comprenderlo bisogna evidenziare che l’azionario statunitense non ha una grande esposizione verso i settori ciclici (energia, industria, materiali ad esempio), che sono solo il 37% della capitalizzazione. E’ invece fortemente connessa a titoli growth, quelli legati ai servizi tech e digitali. Questi ultimi hanno vissuto un boom durante la pandemia, mentre i primi (che nel mondo rappresetnano una capitalizzazione del 55%) beneficeranno della ripresa economica globale, ormai imminente.
Riposizionamento e non fuga
Tutto questo rende più conveniente, agli occhi degli operatori di mercato, andarsi a posizionare al di fuori degli Stati Uniti. Potrebbero quindi arrivare buone notizie dal DAX, dal FTSEMib, dal Nikkei e via dicendo. Attenzione però, perché lasciare l’azionario USA non significa innescare il suo crollo. Semplicemente, sul lungo termine potrebbero rendere meno di prima.