Milazzo (ME) – Il recupero del sentiero “A funtanedda”
Redazione
Nell’antichità le vie di comunicazione cittadine erano caratterizzate da una molteplicità di viottoli transitabili solo a piedi o con bestie da soma. Con l’avanzare del progresso essi sono state sostituiti dalle attuali strade e viali; ma negli antenati e negli individui d’una certa età vivente è la memoria di quelle vie rudimentali, dal tanto notevole contenuto storico, economico ed etno-antropologico, che oggigiorno si ravvisa l’opportunità di riportarli alla luce sotto il profilo turistico e culturale. Nella realtà mamertina un supporto dinamico è offerto da FrancescoPensabene, personalità stimata nel mondo dello sport e della musica, ma anche fervente nello studio delle radici antropologiche: egli insieme ad un attivo e alacre gruppo di volontari, costituito da Dino Costa, Maria La Malfa, Andrea Sottile, Massimo Merlino, Antonio Buccafusca ed Alessia Visalli, ha deciso di riesumare una stradina, nota come “A funtanedda”, un tempo considerata arteria di vitale importanza, perché capace di collegare celermente i due versanti di Capo Milazzo, ed oggi apprezzato luogo per i suoi panorami mozzafiato. «È un lavoro immane quello svolto da me e dai miei collaboratori, non essendo più percorribile da decenni per l’imperversare di rovi, canneti e continui smottamenti. – è il commento di Francesco Pensabene – Con perseveranza abbiamo nuovamente reso fruibile un itinerario, che tutti gli amanti del trekking o anche di una semplice passeggiata frequentano assiduamente. Il nostro obiettivo è di estendere l’accesso, una volta ultimata la bonifica del sentiero, anche ad un altro tracciato, detto “del Carrubbaro” per la presenza d’un albero di carrubo dall’età di duecento anni, collegante il Capo Milazzo con la ‘Ngonia Tono». Interessante è anche il contributo di Massimo Merlino: «Ho aderito entusiasticamente all’iniziativa grazie all’energia coinvolgente di Francesco Pensabene concernente il progetto di valorizzare percorsi un tempo in grado di comunicare facilmente Milazzo da est a ovest, e il cui ripristino ci fornisce ulteriori dettagli dal punto di vista storico, poiché essi venivano anche adoperati dai condottieri per un più rapido spostamento delle loro truppe da un punto all’altro del territorio». Essi hanno tuttavia segnalato la presenza di una cloaca fognaria, i cui liquami, attraversanti il percorso, contaminano la falda acquifera rendendo non potabile l’acqua della sorgente, ormai ridotta ad un rigagnolo, con il rivolgere un accorato appello all’Amministrazione comunale affinché faccia irreggimentare il flusso delle acque nere in tubature ermetiche e sotterrate in modo da evitare anche fastidiosi miasmi, che ammorbano l’atmosfera circostante, e restituire purezza e salubrità a quella fonte, adoperata dalle popolazioni autoctone fino alla prima metà del XX secolo non solo per lavare i panni, data la presenza di numerose vasche, ma anche per curare alcune patologie grazie alle proprietà terapeutiche, di cui essa un tempo era ricca.